Con i privati il risultato é garantito: la nuova leggenda metropolitana

Con i privati il risultato é garantito: la nuova leggenda metropolitana

Avevamo gli alligatori nelle fogne, il lancio di vipere da elicotteri, le scie chimiche, l’autostoppista fantasma, il cagnolino messicano, il tronchetto della felicità con annesso ragno gigante. Non ci bastavano. All’elenco delle leggende metropolitane La Provincia di Como del 26 giugno 2011 ha sentito il bisogno di aggiungere quella secondo cui ^Con i privati il risultato é garantito^ [pdf]. Quello che conta é il dunque, scrive La Provincia, e quindi va dato atto ai privati che hanno messo mano, sia pure in via provvisoria, al lungolago di Como, di aver messo in piedi un’operazione “aggraziata, pulita, ordinata, colorata e allegra persino“. “E ne ricaviamo anche una morale”, continua La Provincia. Ossia che “quando a metterci la faccia é un privato, che pochi o tanti che siano mette di suo anche il denaro, il risultato nove volte su dieci é garantito“. Se é possibile sorvolare sull’uso della prima persona plurale – dove il parlante o si riferisce a se stesso in modo enfatico (“Noi, papa Giovanni XXIII …”) o ad una categoria (ma bisognerebbe sapere se i categorizzati sono d’accordo con il categorizzante) – colpisce la pericolosa generalizzazione secondo cui ^il privato è meglio del pubblico^. Primo perché, come tutte le generalizzazioni, é sbagliata. Secondo perché, nella misura in cui proviene da un medium riconosciuto, autorizza il destinatario a fare sua un’opinione altrui spacciandola per dato oggettivo (quello che fa il TG4 di Emilio Fede). Terzo perché é curioso che un giornale, che dovrebbe fare del riscontro il proprio credo quotidiano, ignori la complessità della realtà dove la differenza tra buono e sbagliato non sta nel soggetto ma nel processo. I dati ci dicono che l’eccellenza nella scuola materna sta nel pubblico, non nel privato, ridotto a baby parking, che l’eccellenza delle scuole superiori sta nel pubblico, non nel privato, spesso ridotto a esaminificio. Qualche anno fa ho pubblicato i risultati di uno studio nella implementazione delle nuove tecnologie nei processi di trasformazione territoriale. La conclusione é stata che i risultati migliori, riconosciuti dallo stesso Ministero, li aveva ottenuti un Comune della Provincia di Milano che aveva gestito i processi di partecipazione in proprio, senza affidarsi a consulenti esterni, anche di grido, come gli altri nove enti esaminati avevano fatto (v. nota). Potevo concludere che l’eccellenza in materia sta, sempre, nel pubblico? No. E allora perché per un ^cerotto verde^, come l’ha definito un giornalista dello stesso giornale, messo su un cantiere irrisolto bisogna far credere alla gente che ^privato buono, pubblico cattivo^?

L’articolo ^Con i privati il risultato é garantito^ (La Provincia, edizione di Como, 26 giugno 2011) é scaricabile in formato pdf a questo indirizzo: http://www.cittapossibilecomo.org/doc/bardaglio.pdf .
  

Nota
Processi di trasformazione territoriale e nuove forme di partecipazione, Territorio, Rivista trimestrale del dipartimento di architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, n. 47 (Franco Angeli, Milano, 2008, ISSN 1825-8689). La versione integrale in pdf é scaricabile qui. Una versione on line é disponibile a questo indirizzo http://www.webimpossibile.net/08/8.5.08.htm.


Il canyon di Como …

Il canyon di Como …

Il canyon di Como chiuso da una frana
La Provincia 5 aprile 2011
P. Berra

COMO Anche Como ha il suo canyon. O meglio, lo avrebbe. Peccato che sia di difficile accesso già in questa stagione, a causa di numerosi alberi caduti e persino di una frana che ha interrotto il percorso a metà. E che tra qualche settimana, complice la crescita incontrollata della vegetazione, diventerà pressoché impenetrabile.
Stiamo parlando del tratto alto del torrente Cosia, cui si accede da un sentiero sul lato destro della chiesetta di San Francesco in Ravanera a Camnago Volta. Qui comincia una passeggiata lunga un paio di chilometri, che si sviluppa per la gran parte in territorio del contiguo comune di Tavernerio. I passi sono accompagnati dal gorgoglio dell’acqua, che si lancia in numerose cascatelle e che ha scavato gole profonde fino a venti metri. Una compagnia suggestiva, soprattutto per chi il Cosia è abituato a considerarlo un fiume interrato (sotto la tangenziale), spesso maleodorante (lo sbocco a lago) e mal frequentato (dalle pantegane, che ogni tanto si vedono correre lungo gli argini in via Pannilani). E invece la Valle del Cosia, dalla sorgente sul Monte Bolettone, in territorio di Albavilla, fino a Camnago Volta, passando per Albese e Tavernerio, è ancora vitale. Non per niente dal 1997 un’associazione, La Città possibile, si sta battendo affinché sia riconosciuta e tutelata come Parco locale di interesse sovracomunale (Plis). Ma i volontari, supportati a corrente alternata dagli enti locali, non possono arrivare dappertutto: hanno recuperato l’ex via del tram, quella che dal 1912 al ’56 fu percorsa dalla linea Como-Erba e che da alcuni anni è diventata un itinerario nel verde tra i più accessibili e amati dai comaschi. Il lavoro, su quella tratta, continua: il primo decisivo intervento era stato la ricostruzione del ponte dei bottini, l’ultimo la posa dei cartelli segnaletici che indicano i diversi sentieri limitrofi nel frattempo ripristinati.
Se si recuperasse anche il “canyon del Cosia”, che corre più in basso, quasi in parallelo, si potrebbe facilmente costituire un percorso ad anello. Oltre agli alberi e alla frana, bisognerebbe rimuovere un bidone abbandonato a pelo d’acqua, di quelli che usavano le tintostamperie per smaltire le sostanze chimiche, e ridare un senso alle cascina e alle due grandi serre “fantasma” che si incontrano all’inizio e che ci ricordano di quando Camnago era l’orto di Como, dove si coltivavano porri e patate, carote e cicoria. Proliferavano anche gli alberi da frutto, di cui in questi giorni si può ancora ammirare qualche inflorescenza, nascosta tra le robinie. Il sentiero, come detto, è interrotto, dopo circa mezz’ora di cammino, da una frana. Gli ardimentosi che riuscissero a superarla, dopo troverebbero una straordinaria via verde, larga come una carrozzabile ma coperta da un tappeto erboso. E, guadato il torrente in un punto che non presenta particolari difficoltà, sbucherebbero a Tavernerio. Prendendo il marciapiedi, sulla sinistra, per raggiungere l’imboccatura della soprastante via del tram, si passa davanti a un’altra chiesetta molto caratteristica, quella di San Fereolo, affacciata su un affluente del Cosia, il Tisone. Una leggenda vuole che Fereolo, brigante pentito, si fosse ritirato nella Valle del Cosia per fare penitenza, ma qui fu raggiunto e trucidato dai suoi ex compagni di malefatte, il 18 settembre del 304. Sembra oggi, viene da pensare, dopo aver attraversato questa “selva oscura”.
Pietro Berra

http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cronaca/407743/


Un’altra informazione é possibile

Un’altra informazione é possibile

Da un poco conosciuto media comasco [http://www.quicomo.it/], un bel pezzo di giornalismo. Puntuale, corretto, giustamente polemico, se per polemico si intende riportare le cose alla giusta dimensione.

Citare la fonte di un video, una questione di correttezza, di Dario Alemanno
27 Nov 10 17:16

Il sindaco di Como Stefano Bruni dice addio alla conferenza stampa del martedì. Niente più incontro settimanale con i giornalisti. La notizia, pubblicata oggi su La Provincia (sabato 28 novembre 2010) è stata anche confermata dall’ufficio stampa di Palazzo Cernezzi. Dunque, a malincuore dobbiamo avvertire i nostri affezionati amici che la rubrica “Parla il Sindaco” non potrà più essere aggiornata tutte le settimane. Peccato! Proprio adesso che avevamo cominciato a seguirla anche in diretta!

Per quale ragione il sindaco ha deciso di sopprimere l’incontro del martedì con la stampa? Dall’articolo di Giorgio Bardaglio, caposervizio del settore Cronache Como de La Provincia, si capisce che Bruni se la sarebbe presa a morte con i giornalisti della carta stampata perché riportando le sue parole, con le quali ha invitato i cittadini a non uscire di casa in caso di neve, gli hanno messo contro la città. Bruni ha anche detto che la neve si scioglie da sola e quindi spendere un milione di euro è uno spreco, praticamente soldi buttati nel lago. Ovviamente tutti questi concetti sono stati espressi dal sindaco all’interno di un discorso molto più ampio, fatto di tanti altri pensieri e ragionamenti. L’intero discorso di Bruni sulla neve è disponibile sul nostro sito (guarda il video). Nella redazione de La Provincia questo lo sanno bene. Sanno bene che su QuiComo.it si trovano le immagini video di tutti gli incontri di Bruni con i giornalisti.

Non intendiamo ora disquisire sul fatto se sia giusto o meno estrapolare dichiarazioni da un discorso lungo e complesso (è innegabile che la carta stampata subisca le limitazioni imposte da esigenze di misura e impaginazione che un video di solito su internet non ha). Non intendiamo nemmeno commentare, né dare ragione al sindaco o ai giornalisti che hanno riportato le sue dichiarazioni. Chi ci segue sa bene che noi non interveniamo mai per commentare le notizie. Cerchiamo di essere distaccati e di non schierarci. Per questo i nostri video delle conferenze di Bruni raramente sono tagliati. Ci sono tuttavia risvolti in questa vicenda che ci costringono a esprimere alcune considerazioni e critiche. E qui arriviamo al cuore del discorso.

Nel sopra citato articolo di Bardaglio sul primo cittadino e le sue affermazioni sulla neve, si legge testualmente:

Siamo andati a rivedere il filmato originale. In effetti non ha detto “Un milione di euro per spalare la neve è uno spreco” come i nostri educati cronisti hanno trascritto. In effetti le sue parole testuali sono state altre. Per la precisione queste: “Un milione di euro per la neve è una cagata”. Pazzesca.

Viene menzionata l’esistenza di un video originale in cui il sindaco parla della neve. Eppure non viene detto dove si possa vedere tale video. Non viene detto che il video è stato visto su QuiComo. Ci domandiamo il perché? Citando la fonte del video non si dà forse un bel servizio e un esempio di correttezza ai propri lettori? Di contro, non citando la fonte non si manca un po’ di rispetto e correttezza nei confronti dei colleghi (pur concorrenti) che quel video lo hanno realizzato? In fondo il filmato dà modo a tutti di verificare le parole del sindaco e giudicarle di persona. Perché, quindi, non citare QuiComo?

E’ stato leggendo l’articolo su Bruni, la neve e le conferenze soppresse che ci è venuto in mente un precedente caso analogo (in realtà ce ne sarebbe un terzo, ma sorvoliamo). L’8 novembre si è discussa la mozione di sfiducia al sindaco. In quell’occasione il consigliere Alessandro Rapinese si è fatto notare per un durissimo intervento in cui ha attaccato, con espressioni al limite dell’insulto e dell’illazione, il sindaco e diversi consiglieri della maggioranza. Anche in quel caso l’unico documento video disponibile era il nostro. Due giorni dopo ecco che vediamo pubblicato su La Provincia un articolo, sempre a firma di Giorgio Bardaglio, in cui si legge:

Visto che ieri tutti ne parlavano, ci siamo guardati minuto per minuto il video dell’intervento di Rapinese, pietra dello scandalo in un consiglio comunale annunciato come scoppiettante e che se non c’era lui sarebbe passato agli archivi nel più grigio anonimato. Essere spettatori di un avvenimento non è però come viverlo e lo abbiamo notato nella differenza di giudizio che abbiamo dato noi, di quell’intervento, rispetto a quello dei colleghi che invece erano lì di persona…

Insomma, per due volte nel giro di due settimane (su due notizie differenti) è stata menzionata l’esistenza di video senza dare indicazioni su dove poterli guardare, ben sapendo che i video in questione erano (e tuttora sono) pubblici, su QuiComo.it. Coincidenza o svista voluta?

Abbiamo la nostra opinione al riguardo, ma come al solito la vogliamo tenere per noi. Qui abbiamo espresso i fatti, nient’altro. Speriamo che la prossima volta, se ci sarà occasione, La Provincia (così come altri giornali che volessero “utilizzare” i nostri video) abbia l’accortezza di citarci. Sarebbe per noi davvero un bellissimo riconoscimento per il lavoro che stiamo svolgendo e per il servizio che crediamo di stare offrendo. I nostri video sono pubblici e gratuiti, per i lettori come per i giornalisti delle altre testate. Non chiediamo nulla in cambio se non di vedere riconosciuti i nostri sforzi. Quando abbiamo pubblicato il video della protesta contro Dell’Utri in piazza Cavour ci hanno citato per nome e cognome tutti i maggiori telegiornali italiani; ci hanno menzionato importanti quotidiani come il Corriere della Sera, l’Unità e il Fatto Quotidiano; perfino lo spagnolo El Pais è stato in grado di scrivere sul suo sito “QuiComo.it”. Se lo hanno fatto loro non vediamo quali difficoltà possano avere gli organi di informazione locale a fare altrettanto. In fondo è solo una questione di rispetto. Rispetto e correttezza.

Link permanente: http://www.quicomo.it/11/27/citare-la-fonte-di-un-video-una-questione-di-correttezza.html

Fonte: QuiComo [ http://www.quicomo.it/]

P.S.
Ma dire le parolacce non é (era) peccato?


Viaggio nella Como contadina seguendo il corso del Cosia

Viaggio nella Como contadina seguendo il corso del Cosia

La Provincia, 11 luglio 2010

Siamo soltanto a 3 chilometri 234 metri dal centro di Como, come dice una targa sul muro. Qui tutto parla – i muri, le case, gli alberi e, soprattutto, l’acqua – e, a chi li sa ascoltare, racconta come eravamo e da dove veniamo. In questo angolo di città scampato alla cementificazione, e anche agli scarichi delle industrie tessili che poche centinaia di metri più a valle rendono lo stesso corso d’acqua maleodorante e a volte anche multicolore, si concentrano, in pochi chilometri quadrati, tanti segni del nostro passato. E altrettanti tesori del costituendo Parco della valle del Cosia, fin qui tenacemente difeso dall’associazione la Città possibile e solo recentemente riconosciuto dal Comune di Como, che ha avviato il lungo iter per farlo diventare un’area protetta. Ricapitoliamo le preziose tracce della Como contadina, prima di incamminarci alla loro ricerca: l’ultimo mulino, alberi di gelso che per più di cent’anni hanno sfamato i bachi da seta che a loro volta davano da mangiare a tante famiglie comasche, e poi opere secolari della natura (le cosiddette marmitte dei giganti) e dell’uomo (una chiesetta seicentesca), per non parlare delle orme di due grandi comaschi, che hanno illuminato le menti e i cuori della gente. Uno è, ovviamente, Alessandro Volta (1745-1827), inventore della pila e non solo, l’altra Giovannina Franchi (1807-1872), fondatrice delle suore infermiere dell’addolorata e dell’ospedale Valduce. Sotto i loro numi tutelari comincia il nostro cammino, dal piazzale di Camnago Volta, dove si ferma il bus, o si può lasciare l’auto: alle spalle la casa in cui Giovannina Franchi «trascorse la limpida giovinezza», sulla sinistra l’ultima proprietà dei Volta in zona (una villa che, a causa di un’eredità contesa, ha conosciuto un lungo periodo di abbandono), davanti a noi la «Passeggiata voltiana». Quest’ultima è il primo e più battuto tratto dell’itinerario che ci viene proposto da Marco Castiglioni e Ines Angelillo della Città possibile, nonché la “porta d’accesso”, con i suoi 1970 metri di percorso in piano lungo la ex via del tram, al più vasto Parco della Valle del Cosia, fatto di 187 ettari di verde, 11 chilometri di sentieri e 7,5 di corsi d’acqua, compresi tra i comuni di Como, Tavernerio, Albese e Albavilla. Dopo poche decine di metri, alla radura dei gelsi, usciamo del percorso convenzionale, tagliando a destra attraverso le balze su cui, grazie ai volontari e agli studenti dell’Istituto agroambientale di Albese, sono tornate a crescere le viti “maritate” con i susini, che fanno da sostegno ai tralci, secondo la tradizione contadina di queste zone coltivate fino agli anni Sessanta. Si sbuca in via Clerici, la strada che porta in località Campora, dove sorge la villa di Volta. Ma, prima, vale la pena di tornare indietro di qualche metro per visitare il suo mausoleo. Colpisce il fatto che, passati quasi due secoli durante i quali il mondo è diventato sempre più frenetico, «Campora sia (ancora) una campagna distante solo un’oretta di passeggio da Como, ma solitaria», come scriveva lo scienziato nel suo epistolario. Fu proprio questa frase a spingere la famiglia, presente a Camnago dal 1546, a seppellirlo qui. E, vista l’importanza del personaggio sottolineata dalle numerose targhe affisse da ammiratori e discepoli di tutto il mondo, nel 1863 l’allora comune di Camnago San Martino, poi accorpato a Como nel 1943, passò alla denominazione attuale.
Tagliando ancora per i prati, attraverso l’unico passaggio lasciato dal guardrail al lato della strada, si scende fino a via Navedano per vedere, purtroppo solo dall’esterno, un altro pezzo di storia della nostra città: il Mulino Beretta, già attestato nel catasto teresiano del 1720, e rimasto in funzione fino al 1983. Dentro le macine sono ancora intatte, ma è fermo da anni un progetto per riaprirlo a scopo didattico. Risalendo la roggia molinara che un tempo faceva girare la ruota di questo e di altri mulini, si arriva alla villa dove Volta trascorreva l’estate e l’autunno, intrattenendosi amabilmente, narrano le cronache, con i contadini del luogo. Prendendo a destra, si scende al ponte di Campora, dove il Cosia è accessibile e si può persino pescare. Sulla sinistra, invece, si imbocca via Ravanera, che attraversa l’omonimo borgo rurale e conduce alla chiesetta di San Francesco, nella quale, quando è aperta, si può ammirare un dipinto seicentesco del “poverello di Assisi”. Sarebbe bello proseguire lungo il sentiero sul lato destro della chiesa: attraversando campi abbandonati, dove un vecchio spaventapasseri è inghiottito dalla vegetazione, si può arrivare alle forre, profonde cavità create dall’acqua lungo il letto del torrente. Ma l’incuria, attualmente, lo rende poco praticabile. Meglio deviare prima, sulla sinistra, per vedere da sotto la cascata dei bottini, che precipitando da un dislivello di 8 metri ha scavato le cosiddette “marmitte dei giganti”. Sopra passa il Ponte dei bottini, fulcro della Passeggiata voltiana ricostruito nel 2002 dalla Città possibile. Lo si attraverserà al ritorno, imboccando la vecchia linea del tram a ritroso da Solzago. In un paio d’ore abbiamo fatto un viaggio in 10 tappe nella Como preindustriale. Ma è solo l’inizio: per rimanere aggiornati sul progressivo recupero dei sentieri e sulle iniziative organizzate dai volontari, si consiglia di visitare periodicamente il blog dedicato (http://parcodelcosia.blogspot.com).

Pietro Berra


Sondaggi d’opinione

Sondaggi d’opinione


Da qualche giorno su La Provincia di Como online compare il seguente sondaggio:

  1. Quando esci, la sera, ti capita di fumare sostanze stupefacenti?
  2. Quando esci, la sera, ti viene offerta droga?
  3. Hai mai bevuto alcolici in locali pubblici, nonostante il divieto?

Ovviamente non é necessario essere degli specialisti per sapere che il modo nel quale una domanda è posta agli intervistati influenza la scelta della risposta. Qualche appunto semiserio:

  1. Bello il gergo colloquiale (^ti capita^). Non so a chi può essere ^capitato^ di fumare sostanze stupefacenti. O uno le fuma o non le fuma. Non é che ^gli capita^ … (Ero fermo al semaforo e a un certo punto mi é capitato di farmi una fumatina. Stavo per entrare sotto la doccia, quando a un certo punto mi sono fatto una canna.)
  2. Al di là dell’uso della punteggiatura (ah, le virgole …), é straordinario l’immaginario di una Como dove (rigorosamente di sera) pullulano soggetti che offrono ^droga^ (ma non sostanze stupefacenti?) a ogni angolo di strada (Ieri ho portato fuori il cane: ma nessuno mi ha offerto droga. Era pomeriggio). Notevole anche l’uso del verbo ^uscire^, come se di per sé fosse un comportamento al limite della legalità.
  3. Fancamente non sapevamo che nei locali pubblici (espressione straordinaria di per sè) di Como ci fosse il divieto di bere alcolici. Forse c’é per il divieto di somministrazione ai minorenni. Il divieto di bere alcolici tout court, fortunatamente, ancora non c’é (altrimenti niente pranzo di Natale).

In conclusione. Per come sono poste le domande dall’arguto estensore del questionario (chiamamolo così) delle due l’una:

  1. o l’estensore ha (nell’ordine) ^fumato sostanze stupefacenti^, gli é stata offerta (e ha accettato) ^della droga^, ha poi ^bevuto alcolici in locali pubblici^ e solo successivamente ha scritto il questionario;
  2. oppure lo domande sono state scritte per rispondere ^sì^ solo per dare soddisfazione all’estensore. Che é quello che immaginiamo abbiano fatto quelli hanno risposto sì al sondaggio.

Notizia d’emergenza, agite con urgenza. C’é qualcuno che parla di futuro a Como.

Notizia d’emergenza, agite con urgenza. C’é qualcuno che parla di futuro a Como.

Abbiamo un sogno
Riprenderci il futuro della città

Stefano Ferrari / La Provincia / 27 gennaio 2010

Francesca è un ottimo avvocato che di mestiere fa la mamma di due bambini pieni di salute e di voglia di correre. Ogni volta che capita di incontrarsi si finisce sempre per sghignazzare delle imprese compiute dalle rispettive, esuberanti figliolanze. Francesca appartiene alla categoria dei genitori d’appartamento, i cosiddetti senza giardino, quelli che per «arieggiare» la prole devono affidarsi ai servigi della pubblica amministrazione. Così, dalle peripezie degli infanti alle carenze della città il passo, nei discorsi, è brevissimo:«Scrivilo che non c’è un posto per far giocare i bambini». Il prologo è per dire che, in città, il posto per far giocare i bimbi ci sarebbe eccome, e magari anche per far posteggiare le macchine, altra materia di cui si fa un gran discutere. È lì, ce l’abbiamo sotto il naso: tre anni dopo il suo scenografico abbattimento la Ticosa chiama, ma nessuno risponde. La sua è la voce di un bel pezzo di città che coltiva sogni semplici ma non per questo meno intelligenti di quelli suggeriti dai soliti rendering. Le palazzine che dovrebbero crescere sui ruderi della vecchia tintostamperia fanno schifo. Porteranno altro smog, altro traffico, altri residenti stipati come polli in batteria, tutti compressi dentro a edifici sfruttati al massimo per poter garantire il massimo guadagno. Via tutto, allora, via i rendering, i progetti, via i 14 milioni che l’amministrazione spera di incassare e che probabilmente non incasserà mai. Il futuro della Ticosa è un bell’autosilo interrato con uno o due piani coperti da un parco che si stenda da via Sant’Abbondio a piazza San Rocco. Fontane, alberi, percorsi per lo jogging, spazi per i bambini e un custode che la sera chiuda a chiave per riaprire al mattino. Formula identica a quella dell’ex zoo. Paga chi costruisce e gestisce il posteggio. Cinquanta, cent’anni di concessione. Avendo ucciso il futuro, la società dell’emergenza non è più capace di pianificare armonicamente il proprio sviluppo e prende le sue decisioni sulla spinta delle necessità immediate. Costruendo un parco sui resti della Ticosa, il Comune rinuncerebbe forse a qualche milione. In compenso, però, si riprenderebbe il suo (e il nostro) futuro.