Neve, e poi neve, e ancora neve

Neve, e poi neve, e ancora neve

La neve cambia improvvisamente le carte in tavola. Quando arriva di notte ti accorgi che c’è qualcosa di strano, dove sono finiti i rumori della strada? La neve cancella i colori, bianco, bianco, solo bianco: ma sul bianco risaltano i colori delle persone. Le donne gli uomini i bambini per la strada sono più uguali e più allegri, oggi c’è qualcosa di diverso, oggi si cambia! Il primo effetto della neve sulla strada, quando ancora sono pochi centimetri e ci sono in giro ancora le auto, è che disegna in bianco lo spazio ai lati della strada, quello per i pedoni, e lascia ancora grigio lo spazio minimo che serve a un’auto per passare: caspita! ne basta molto meno del solito! La magia ha inizio, in poche ore il manto di neve compie la rivoluzione: donne, uomini bambini e cani in mezzo alle strade bianche, le macchine no, pochissime. Qualche stupido commentatore televisivo dice “la città spettrale …”, ma la città è magica, viva ma di una vita completamente diversa da ieri. La rivoluzione continua nel rito della spalatura dove si fanno conoscenze, si scoprono nuovi vicinati e nuove convivialità, la neve è ancora leggera, ci si prende il tempo necessario. La macchina per oggi può restare ferma. La natura ci ha restituito per oggi aria pulita e cuore leggero. Ma, come viene di rado, la neve dura poco: il giorno dopo è grigia e pesante, e la magia svanisce. Devo liberare il mio parcheggio e allora butto la neve sul tuo, d’altra parte se no dove la metto? Devo difendere il mio spazio vitale, il parcheggio della mia macchina, e non guardo in faccia nessuno. Che strano, mi sentivo così buono ieri e oggi sto ridiventando una carogna … La rivoluzione è durata un giorno. Per la prossima ci toccherà aspettare il lago in piazza. Speriamo che faccia presto, prima che costruiscano le paratie!


Auto-mobili?

Auto-mobili?

Auto-mobili? Mobilità (come diritto di tutti a muoversi), immobilità/incapacità (di chi ci amministra ad affrontare con serietà e coraggio il problema) . Giochi di parole sul tema del giorno: auto, parcheggi, aria irrespirabile e raccolta di firme di cittadini inferociti. A questi ultimi, e ovviamente ai nostri amministratori, consiglio di leggere “La mucca puzza, l’auto puzza e inquina” di Guido Viale, dal Manifesto, da cui traggo questo pezzo:

La vera alternativa allo stato di cose esistente consiste nel dichiarare «area protetta» il bene pubblico rappresentato dalle strade urbane, e di sottoporle a vincoli rigorosi che garantiscano la salvaguardia delle sue funzioni più proprie; così come l’istituzione di aree protette (i parchi) affronta e risolve il problema della salvaguardia dei beni naturalistici assai meglio di quanto abbiano fatto le enclosures: sia dal punto di vista del valore – non solo ambientale, ma anche economico – delle risorse, che, ovviamente, da quello dell’equità. Dichiarare le strade urbane area protetta significa vietarle al traffico privato: cioè a tutti quei veicoli che non svolgono un servizio pubblico o di pubblica utilità: caratteristiche, queste, che vanno valutate e negoziate in modo mirato, caso per caso, e che possono variare nel tempo e a seconda delle circostanze; una valutazione e una negoziazione che rientrano tra i compiti di assoluta priorità delle autorità che hanno in carico la gestione del territorio.

Leggetelo tutto, ne vale la pena.


Arte e frammenti di città

Arte e frammenti di città

A proposito di arte e scelte politiche sottintese: Como ha imboccato la strada delle mostre legate ai grandi nomi della pittura moderna (Mirò, Picasso, ora Magritte). Altre città hanno deciso di investire sull’arte diversamente. A Napoli, per esempio, l’arte è diventata uno dei cardini della politica di rinnovamento urbano. Alla base una strategia precisa: togliere le opere dal piedistallo dei musei per farle entrare nei territori quotidiani. Piazza Plebiscito, finalmente liberata dalle auto, nel dicembre 1995, ha accolto una Montagna di sale, opera di Mimmo Paladino. Un’installazione temporanea capace però di lasciare un segno forte nella memoria delle persone (abitanti, passanti, turisti). Da allora, ogni Natale, un artista diverso ha reinterpretato la piazza, secondo un rituale di cui la città si è subito appropriata.
Che non si trattasse solo di scenografie d’effetto ma di una trama effettiva lo hanno dimostrato le nuove stazioni della Metropolitana: uno dei “non luoghi” della vita urbana ha subito una totale metamorfosi grazie all’intervento dei principali artisti contemporanei. Oltre a fare discutere, a sorprendere, a volte emozionare, colore e ironia sembrano anche invogliare ad usare di più il mezzo pubblico.
Certo, Napoli e Como sono due entità incomparabili. Ma una città di 80.000 abitanti, decidendo di abbandonare la sua sobrietà laboriosa per sperimentare forme d’arte non di consumo ma di uso sociale, saprebbe da dove partire. La Fondazione Ratti da tempo organizza a Como un Corso Superiore di Arte Visiva, che permette a giovani studenti, provenienti da tutto il mondo, di lavorare sotto la guida di un artista di prestigio internazionale. Quest’anno il corso si intitola Fragmented City ed è dedicato alle città frammentate in cui viviamo,
città che si contraggono, crescono rapidamente, si muovono, creando al proprio interno territori separati, tante isole che convivono una accanto all’altra a diverse velocità.

Mi chiedo: alla città di questa importante riflessione creativa resterà qualcosa?


Varese, anno stellare 3026.24.0

Varese, anno stellare 3026.24.0

“Como non respira. Polveri sottili alle stelle” intitola oggi il Corriere di Como. “Smog da record, ricoveri in aumento”, gli fa eco La Provincia. “Smog, oggi targhe alterne a Roma. La ragione è semplice: mai così alte le polveri sottili, che raggiunta la soglia di 183 microgrammi per 20 giorni consecutivi fanno di Como la città più inquinata della Lombardia. Preso atto che 50 è il limite oltre il quale le polveri sono considerate dannose per la salute e che 5 sono i giorni di superamento delle polveri sottili (PM10), Varese ha deciso il blocco totale del traffico nel centro storico per oggi, dalle 8 alle 20. E Como? L’importante è non autoprescriversi i farmaci, raccomanda il primario di pneumologia, prof. Giura sulla Provincia di oggi: “sempre meglio chiedere al medico a quale rimedio ci si deve affidare”. Come dire: “Dottore, ho un coltello nel fianco. Cosa faccio?” “Non si tocchi la ferita con le mani sporche!” “Ma posso togliere il coltello?” “Non lo chieda a me!”.


Ha ragione Libeskind

Ha ragione Libeskind

Liberiamo la città dagli impedimenti visivi che ci vietano di vivere una esperienza completa … della città. Oltre che in piazza Verdi ce ne sono diversi ed ingombranti nella zona a lago, attorno a Villa Olmo, Villa Gallia e qualcuno, pochi in verità, nelle aree del centro. Per fortuna qualche impedimento visivo è già stato eliminato, come quelli attorno alle opere del Terragni ( un grande cedro davanti alla scuola materna Santelia e dal perimetro del Monumento ai Caduti ). Ora queste belle opere consentono un’esperienza completa. L’esperienza (leggere sospirando) sarà ancora più intensa se queste aree saranno gestite dalla Csu, come gestisce i parcheggi di piazza Volta e via Auguadri (basta sospirare). Tolti gli impedimenti visivi, anche a Como ci starebbero bene qualche torre di Libeskind, come quelle gemelle di New York o quelle approvate per Milano. Se un qualunque psicanalista legge, mi potrebbe fornire una interpretazione dell’idea fissa di fare torri di Libeskind ? A coppie e contorte per di più !
Se si pensa di togliere il cedro e quei pochi giardinetti dalla piazza almeno si cambi il nome del musicista a cui è intitolata . Rossini, Toscanini, chi volete, ma non Verdi ! Oltre al danno anche la beffa direi di no. Come direbbe Totò, caro dr. architetto Libeskind ed estimatori, “ ma ci faccia il piacere”.


Magritte e la città

Magritte e la città

I quotidiani locali annunciano con una certa enfasi – in verità più il Corriere di Como che la Provincia, la quale mantiene un minimo riserbo – l’0k alla mostra su Magritte. Dato atto all’assessore Gaddi di essere riuscito a condurre in porto il suo progetto, resto sempre perplesso sul fatto se l’iniziativa debba essere letta nell’ottica di una politica di vasto raggio per Como e, soprattutto, se tale politica esista e quale sia. Ne avevo parlato in un Povertà vecchie e nuove, un pezzo pubblicato sul Pesanervi di Michele Diodati, riprendendo un intervento presso i Lions. Di quel pezzo mi piace ricordare la citazione di quello che scriveva Don Daniele Denti nella presentazione del rapporto 2002 Disagio sociale a Como e dintorni:

che futuro può avere una città di meno di 80.000 abitanti, in buona parte anziani? È una questione improrogabile. La risposta più semplice è dire che non sarà più una città. Almeno ci fosse qualcuno che teorizza questo, cioè Como città impostata solo sui servizi, sulle attività pubbliche, sulla cultura e il divertimento. Bisognerebbe dargli contro, però sarebbe almeno un’idea chiara, per quanto a mio avviso impossibile da realizzare. Invece tutti vogliamo una città viva, abitata e abitabile, accogliente e aperta alle novità del nostro tempo e assistiamo impotenti al fatto che si vada nella direzione esattamente opposta ai nostri desideri.

Il dubbio sulle politiche sociali e territoriali comasche resta: ma “abbiate pietà di quelli che sono nel dubbio” (Giuda, 22).


Maestre violente al nido: ma i genitori dove sono?

“Maestre violente al nido smascherate dal telefonino”, intitola così il Corriere della Sera di oggi, cronaca di Milano.

Li sculacciavano, li minacciavano, li costringevano a rimangiare i bocconi che avevano sputato, li chiudevano a chiave in uno sgabuzzino buio. Maestre cattive. E le loro piccole vittime: dodici bambini dai 18 mesi ai 3 anni, iscritti in un micronido nella periferia nord est della città, tra Precotto e Crescenzago. È diventata una stanza degli orrori quell’unica classe aperta a settembre al piano terra di una materna comunale. Con due «orchi» e un’eroina a salvare le sorti dei bambini: una bidella coraggiosa che ha deciso di reagire. Ha preso il telefonino e filmato tutto, percosse e punizioni. Poi, il 19 dicembre, è andata alla polizia. Pochi giorni di indagine, condotta dal pm Marco Ghezzi (tra i testimoni, la terza maestra che ha confermato tutto), e lunedì sono scattati i provvedimenti: il gip Giovanni Verga ha disposto per le due giovani donne (intorno ai 25 anni, una laureata in psicologia, l’altra con un diploma di assistente sociale) il «divieto di dimora» per il reato di percosse. In sostanza, le educatrici non potranno entrare né lavorare in quell’asilo. Il pm aveva chiesto al gip una misura più severa: gli arresti domiciliari con l’accusa di maltrattamenti aggravati.

Non so se – come accusano i Ds – questo sia il risultato della privatizzazione che il Comune di Milano ha da anni messo in atto sui molti servizi sociali: certo c’è da chiedersi se e quali garanzie vengano chieste alle cooperative che gestiscono gli asili nido, quale formazione abbiano gli operatori, quale ruolo giochi l’attenzione all’infanzia nella graduatoria delle priorità dell’amministrazione comunale. Sorridente, l’assessore all’Infanzia, Bruno Simini, invita, giustamente, a non criminalizzare “tutta la categoria delle educatrici”, mettendo l’accento sul fatto che la segnalazione sia arrivata dall’interno, ossia da una bidella. Il sistema, conclude, ha (o, meglio, avrebbe) quindi dato buoni risultati:

Lo dimostra il fatto che i genitori incontrati ieri mattina dai miei dirigenti erano all’oscuro di tutto. alcuni hanno addirittura fatto il regalo di Natale alle due maestre indagate.

A parte il fatto che se il “il sistema” è quello dell’affidamento in outsourcing [tradotto in italiano, esternalizzazione] dei servizi comunali, è proprio “il sistema” ad aver dato pessima prova di sè, a parte la tristezza di non leggere nelle dichiarazioni dell’assessore una sola riflessione sull’opportunità di verificare l’idoneità della cooperativa a proseguire il servizio in questione, mi chiedo: ma davvero l’iniziativa deve partire da una bidella? E’ possibile che nessuno a casa si sia accorto di niente, che i bambini a casa fossero sereni, che si comportassero normalmente? “Com’è andata oggi, signora maestra?” “Il solito. Ha fatto un po’ di capricci, come tutti, non lo facciamo più, vero Mariolino?” “Mariolino, saluta la maestra” “Non saluta … mi scusi” “Non fa niente, tanto ci vediamo domani, vero Mariolino?”


I Suv? Non salvano i bambini

I Suv? Non salvano i bambini

[Da Repubblica.it]

Chi fino a oggi ha scelto un Suv nella presunzione (legittima per carità, almeno a giudicare dalle dimensioni di queste auto) che i bambini potessero viaggiare lì sopra protetti nel migliore dei modi sbaglia: l’Ospedale per bambini di Filadelfia ha infatti appena dimostrato – con un ponderoso studio pubblicato su “Pediatrics”, rivista leader al mondo del settore – che i bambini che viaggiano su un Suv corrono gli stessi rischi rispetto a quelli che viaggiano su una normale vettura […] Sempre secondo l’Ospedale per bambini di Filadelfia, fra Suv e normale berlina alla fine il bilancio di sicurezza è pari. E per chi non ci credesse sulla rivista “Pediatrics” ci sono una marea di dati a suffragio di questa tesi, dati che arrivano dall’analisi dettagliata su 72 mila bambini fino a 15 anni di età coinvolti in incidenti stradali.

Riflessioni interessanti, anche se di un altro pianeta.


«I cantieri… e i cittadini?»

Il Sindaco di Como, StefanoBruni, annuncia: il 2006 sarà l’anno dei cantieri. Angelo Vavassori, presidente di Città Possibile, replica con garbo in un articolo pubblicato oggi su La Provincia. Potete scaricarlo e leggerlo nella pagina delle novità della Città Possibile, all’indirizzo http://www.cittapossibilecomo.org/new.htm.