Gli Sventurati sorrisero …

Gli Sventurati sorrisero …

«Tra l’altre distinzioni e privilegi che erano stati loro concessi, per compensarli di non poter esser all’altezza, c’era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato dell’edificio era sovente frequentato da alcuni tra loro, scellerati di professione, molti de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della folla e delle leggi. Il nostro manoscritto non li nomina e senza parlar inoltre del casato. Un giorno, Costoro, da una finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta la folla animosa passare o girandolar 1ì, certamente per ozio, allettati anzi che atterriti dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, s’affacciarono e attendevano senza gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente addosso a loro. Qualche galantuomo precorse di traverso la folla, per avvertirli di quel che li sovrastava. I commessi, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi. Mentre ascoltano, vedon comparire la vanguardia: in fretta e in furia, si porta l’avviso a Costoro: mentre questi pensano a fuggire, e come fuggire, un altro viene a dirgli che non è più a tempo. I commessi ne hanno appena tanto che basti per chiuder la porta. Metton la stanga, metton puntelli, corrono a chiuder le finestre, come quando si vede venire avanti un tempo nero, e s’aspetta la grandine, da un momento all’altro. L’urlìo crescente, scendendo dall’alto come un tuono, rimbomba nel vòto cortile; ogni buco della casa ne rintrona: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si senton forti e fitti colpi alla porta. Solo allora, affacciandosi quasi in sospetto, Costoro s’accorsero di quel che stava davvero succedendo lì sotto e, al richiamo insistente della folla che li aveva scorti far quasi capolino, si mostrarono. La folla allora gridò: – Assassini, assassini, dimissioni, dimissioni – e poi ancora – Pace, pace – con grande confusione di idee e di voci eppur ferma e quasi immobile ad attendere una qualsivoglia risposta. I militi di giustizia ch’ebbero per primi l’avviso di quel che accadeva, spediron subito a chieder soccorso al comandante del castello il quale mandò alcune guardie. L’ufiziale che li comandava, avendo osservato il comportamento di Costoro, non sapeva che partito prendere. Lì sotto non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d’età e di sesso, e tuttavia pacifica che stava a vedere. All’intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo, rispondevano con un cupo e lungo mormorìo, ma nessuno si moveva. Avvenne a quel punto che tutti, soldati, guardie e pure i commessi con assieme la folla intera sollevarono come sorpresi lo sguardo verso la vetrata finestra dietro la quale, come fantasmi, Costoro sembravano curiosare. All’improvviso il corteo fermò il suo lento ondeggiare, le mille voci tacquero e vi fu un lungo silenzio. Gli sventurati sorrisero.»

pseudo Manzoni da “Le Promesse mancate” ovvero “Storia della finestra infame
testo di Gerardo Monizza; immagine di Carlo Pozzoni.


Sterilizzare l’ippocastano?

Sterilizzare l’ippocastano?

In questi giorni su La Provincia è apparsa la notizia della proposta di SPT per la riqualificazione dell’Area Ippocastano: 2 campi sportivi coperti, spogliatoi e quant’altro, chiaramente nell’assoluta salvaguardia del monumento verde. Al di là di sottolineare eventuali opportunismi od opportunità della Società promotrice, che peraltro finanzierebbe a proprie spese l’iniziativa, mi interessa chiederci: è solo l’orror vacui, piuttosto che un bisogno di ordine (in senso più o meno civico), che muove questo inconsapevole atto verso la sterilizzazione di un luogo? E ancora: ipotizzare un serio confronto (senza facili demagogie ne strumentalizzazioni) tra la comunità insediatasi (sudamercani) e la comunità indigena (comaschi del quartiere) e magari anche i Writers locali (vedasi vecchie ipotesi dell’ex Sindaco Botta) insieme alla Società proponente e coordinato dalla Pubblica Amministrazione, finalizzato alla reimmaginazione di questo posto, seppur più impegnativo, non potrebbe contribuire a costruire quella condivisione, senza la quale si perderebbe il senso di ogni sua trasformazione? Di seguito un estratto del contributo fornito a questo proposito su l’Aria, gennaio 2006:

Storia di un luogo: l’Area Ippocastano
Quasi vent’anni fa un gruppo di cittadini si è opposto, con successo, all’abbattimento di un bellissimo esemplare di ippocastano rosa, finalizzato alla costruzione di un autosilo. L’albero era assurto a simbolo dell’identità di un luogo, e di un quartiere, e della presenza di una comunità non solo locale, che intorno all’albero si è ri-trovata. Circa cinque anni fa, in prossimità dell’area dove nel frattempo era stato localizzato provvisoriamente un “parcheggio di attestamento a raso” tuttora esistente, vengono realizzate, come opere di urbanizzazione del complesso ex-Pessina (oggi Dadone), un percorso pedonale lungo le ferrovie Nord ed un improbabile campetto da gioco in cemento. Dopo i primi anni di completo inutilizzo, vista l’ubicazione apparentemente poco felice, una comunità di sudamericani né ha fatto un luogo, dove intere famiglie nelle sere di primavera e d’estate si incontrano nell’occasione di una partita a pallavolo, con rete e tiranti autocostruiti. Indubbiamente un luogo loro, in vece di un
nostro luogo della distrazione del Piano, della confusione pianificatoria, un luogo apparentemente senza senso. Un luogo perduto dove invece si è espresso un desiderio di città, intesa come comunità che si incontra che abita, che si ri-trova in uno spazio. Sarebbe interessante, a questo punto, sapere cosa ne pensano quei semplici cittadini, e non solo quei movimenti, che quasi vent’anni prima hanno salvato l’albero attorno al quale queste persone oggi si incontrano. Se, come dice precisamente Franco la Cecla, “Abitare è una facoltà umana. E’, cioè una abilità acquisita, costruita su una predisposiozione biologica, (l’essere fisicamente presenti in un luogo) ma elaborata culturalmente, quindi condivisa con una società.”, il dato che oggi queste persone lì non si ri-trovino non è tanto per una poco ortodossa qualità di quello spazio, ma per una quanto mai sopita abitudine all’abitare. E questo noi crediamo sia causato, al di la di ogni facile retorica, sia da una cultura tecnico-urbanistica che continua ad occuparsi di produrre e localizzare edilizia anziché porsi il problema delle condizioni dell’altrui abitare, sia da una crescente mancanza fondamentale di fiducia da parte di cittadini verso la possibilità di abitare la città, come ben ci ricorda Elisabetta Forni: “Si comunica poco e male, perché manca o è insufficiente una risorsa fondamentale: la fiducia. La città non garantisce certezze -se non purtroppo spesso in negativo- e genitori e bambini non hanno le risorse per dialogare. La città diventa allora l’altro da sé: portatore o creatore di mali reali o immaginari. Non è più un luogo da esplorare e nel quale apprendere attraverso l’esperienza, ma un mondo da cui difendersi, se è il caso. [Marco Castiglioni e Alberto Bracchi]


Aesculus – Ippocastano

Aesculus  –  Ippocastano

[Da Wikipedia] L’Aesculus noto con il nome comune di Ippocastano è un albero di grandi dimensioni appartenente alla famiglia delle Sapindaceae (già Hippocastanaceae), la specie più conosciuta in Italia è l’A. hippocastanus. Tutte le specie del genere Aesculus sono originarie dell’Asia e del nord America. Importato in Italia e in Europa, l’ippocastano viene usato in special modo a scopo ornamentale e lo si può trovare nei parchi e in molti giardini, ha un aspetto maestoso, la sua chioma di notevole altezza (oltre i 30 m) è molto ampia e tondeggiante, i vistosissimi fiori ermafroditi e profumati, riuniti come grandi pannocchie, sono di colore bianco e si aprono tra aprile e maggio; la liscia corteccia è di colore grigiastro.
I frutti o semi sono delle grosse e lucide castagne non commestibili, racchiuse in un riccio aculeato e vengono comunemente chiamati castagne d’India. Le foglie decidue, di colore verde brillante, sono di forma palmata e dotate di un lungo picciolo, unite al ramo in posizione opposta.
A volte le persone, per difendere questo albero maestoso, si radunano in migliaia e scendono in piazza, ritrovando come per miracolo una forte spinta interiore a mettersi insieme per difendere degli ideali [Como, 1990].


L’importante è legittimarsi …

L’importante è legittimarsi …

No. Mi spiace, ma nella vicenda che ha portato al ferimento di un ragazzino di 18 anni sospettato di essere un writer, si sta commettendo un errore, anzi il solito errore, quello di giustificare in qualche modo i writer e così legittimare la posizione di chi invoca il nucleo antiwriter. La gente non vuole i writer come non vuole i corpi speciali con “licenza di uccidere”. E ha ragione. Non solo: senza saperlo, la gente comune coglie il nocciolo del problema, perchè giustificando un estremo si legittima il suo opposto. Per quanto mi riguarda, gli autori degli scarabocchi di cui è pieno il centro storico possono essere tranquillamente inviati ai lavori socialmente utili: il fatto che il Comune di Como non gli abbia mai concesso degli spazi, non giustifica in alcun modo che si sfoghino bomboletta alla mano. Sono sottoposto a un regime fiscale folle che mi impone di anticipare il 90% delle tasse su entrate ancora non avvenute: non per questo mi vendico portandomi a casa l’equivalente in cartelli stradali. Come sempre, sfugge il dat di sfondo: si è creato un corpo speciale che risponde a soggetti politici e non a istituzioni centrali. Questo è il vero punto: vederlo non sottolineato e annegato tra le polemiche, le urla, i capelli da rasta, le bombolette, le keffiah, mi amareggia più del sorriso ebete dei quattro affacciati alla finestra del municipio, che invece sanno benissimo che alzando il livello della polemica le ragioni dei giusti scompariranno con quelle degli empi. “Uccideteli tutti: il Signore riconoscerà i suoi“: gridò il legato pontificio Arnaldo-Amalric alla presa di Bèziers. Finirà così. Tutti a urlare, ma la voce di quelli che denunciano la violazione dei principi costituzionali in materia di ordine pubblico finirà inascoltata, confusa e incomprensibile. E tutto rimarrà come prima. L’importante è continuare a legittimarsi vicendevolmente … keffiah vs. pizzetti di AN. Che tristezza.


Un uomo alla finestra, anzi quattro

Un uomo alla finestra, anzi quattro

L’ha fatto di proposito o è il suo abito mentale?
Ieri, il sindaco Bruni o meglio, il suo mezzobusto, è apparso ad una finestra del Municipio , proprio mentre stava passando il corteo “ Como città solidale e disarmata”, organizzato da partiti ed associazioni comasche, per manifestare solidarietà al ragazzo ferito – gravemente, da un proiettile esploso dalla pistola di un vigile della squadra antiwriters – e dissenso politico alla giunta Bruni che questa squadra ha fermamente voluto. Guardate, guardate la foto di Ponzoni su la Provincia di oggi 4 aprile 2006 , che ritrae il sindaco ed i suoi assessori, alla finestra, e chiedetevi che cosa mai li faccia sorridere , perché, sì, il sindaco sta proprio sorridendo. Questa è l’immagine che rimarrà negli occhi dei circa 1000 partecipanti che, arrivati davanti alla facciata di Palazzo Cernezzi che dà su via Sauro, con stupore, hanno visto Bruni e D’Alessandro, assessore all’Ambiente, Pastore, Presidente del Consiglio Comunale, e Caradonna, assessore ai Lavori Pubblici, guardare il corteo da dietro i vetri di una finestra: che non si è aperta quasi a segnare fisicamente, con il suo rimanere chiusa, la non volontà di dialogo.

Ad ulteriore conferma dell’atteggiamento di chiusura ad ogni confronto si è aggiunto il rifiuto opposto dalla maggioranza alla richiesta dei gruppi di minoranza di dedicare una seduta consigliare ai fatti avvenuti: questa sera all’ordine del giorno non si discuterà dell’accaduto ma del bilancio 2006. Eppure la città ha avuto un sussulto, è uscita dal torpore che la avvolge da anni: lo testimoniano le numerose lettere pervenute al quotidiano La Provincia che parlano di incredulità per quanto è avvenuto e partecipano il loro sdegno per il modo con cui questa amministrazione sta gestendo l’accaduto.

Lo testimonia la presenza forte e dolce dei tantissimi giovani che hanno accompagnato il corteo, portando striscioni che alternavano gli slogan più duri e politici “ Si dimettano i responsabili” “ Assassini vergognatevi” a quelli più creativi “ di writing si muore” , “ muri puliti, strade sporche di sangue” “Pochi imbecilli sparano in città” a fare il verso alla campagna antiwriters voluta dalla giunta e che recita “ Pochi imbecilli sfregiano una città” . Lo testimonia la risposta corale , partecipata e solidale di settori della società civile, solitamente cauti nella critica, specialmente verso questa maggioranza.

Caro dott. Bruni, lei, che si dice persona moderata sa che un sindaco dovrebbe essere per i suoi concittadini il buon pater familias di antica memoria e sa che di questi dovrebbe avere il noto buon senso, quello che, lei, purtroppo, non ha avuto, quando ha deciso di guardare dall’alto quanto avveniva. Torno alla domanda dell’inizio: lo ha fatto di proposito, per provocare, o è il suo abito mentale?

Lo striscione di Città possibile con le parole “ sicurezza è partecipazione – siamo con Ramesh e con i ragazzi” ha accompagnato il corteo e la presenza dei tre presidenti, che si sono succeduti in questi 12 anni di attività, ha confermato la volontà dell’associazione di essere presente nei momenti significativi della vita della città. Nella foto, Angelo Vavassori, Alberto Bracchi e Lorenzo Spallino.


Ragazzi che sporcano/dipingono i muri

Ragazzi che sporcano/dipingono i muri

Leggo tanti commenti sulla stampa sul caso del ferimento di Rumesh. E’ bene che se ne parli, che non ci si stanchi di parlarne. Aggiungo qui un contributo

1° Non mi scandalizzo per i muri sporcati da imbrattatori o vandali. Il vandalismo mi deprime, ma dobbiamo riconoscere che la mancanza di rispetto per il bene comune è frutto della nostra cultura. Ci sono però problemi ben più importanti dei muri imbrattati.
2° Le pitture murali, fatte da quelli che oggi chiamiamo writers, hanno storia millenaria. Sono comunicazione e cultura, spesso arte. E contribuiscono a rendere allegri i muri grigi delle nostre squallide periferie o dei nostri squallidi sottopassaggi urbani.
3° Non riconoscere questi fenomeni, e criminalizzarli in favore della (presunta) sicurezza, vuol dire forse cercare di nascondere i veri problemi della città e i veri, e ben più gravi, fenomeni di illegalità.
4° Creare il clima di criminalizzazione e repressione, e rifiutare il dialogo con i protagonisti di questi fenomeni, vuol dire assumersi gravi responsabilità sociali.
5° Inventare strumenti di repressione come queste ’squadrette’ dalla pistola facile vuol dire unire alle gravi responsabilità una gravissima incompetenza.
6° Credere che la città possa diventare più sicura e più viva e più pulita con questi metodi dimostra di non conoscere le più importanti esperienze europee di riqualificazione di spazi urbani.
7° Con tutto questo, e dopo questo fatto doloroso e grave, bisognerebbe che chi assomma tutte queste ‘qualità’ abbia la dignità e il coraggio di dimettersi. Subito.

P.S.: Ai duri, ai repressori dei writers: non cercate di identificare i ragazzi della foto. Sono di un’altra città, e sono autorizzati.

SICUREZZA E’ PARTECIPAZIONE
SIAMO CON RUMESH, SIAMO COI RAGAZZI


Città solidale e disarmata: Como, piazza del Duomo, 3 aprile 2006, ore 18,30

Città solidale e disarmata: Como, piazza del Duomo, 3 aprile 2006, ore 18,30

Mentre qualcuno dovrà spiegare come sia possibile che a Como esistano dei corpi armati che rispondono alle istituzioni politiche – cosa che succedeva nell’Argentina del generale Videla, ma che non è ammissibile avvenga nell’Italia del terzo millenio – segnaliamo il corteo che prenderà il via oggi alle ore 18,30 da piazza del Duomo. Trentuno realtà locali, tra cui Città Possibile, ricorderanno con la loro presenza il dolore e la follia di una città dove solo gli ex di Gladio possono commentare con espressioni come “sono i rischi di chi lavora in prima linea per la sicurezza” (Paolo Mascetti, La Provincia 31 marzo 2006, p. 2) quello che è avvenuto Venerdì 31 marzo 2006: un ragazzo di 18 anni – che non si era fermato all’alt della polizia locale in borghese perché non aveva la patente ma solo il foglio rosa – è stato inseguito, estratto dall’auto a armi spianate, messo contro un muro pistola alla nuca e colpito da un colpo esploso a bruciapelo che gli ha trapassato il cranio. Incidente, dichiara il sindaco Bruni; ^costo^ afferma il vice sindaco Mascetti, che bolla come “immorali” le manifestazioni degli studenti; ^disgrazia^ chiosa l’assessore Scopelliti che ha ideato e voluto la task force anti writers.

Inutile ricordare a questi signori che, lungi dal rassicurare, le barriere finiscono per alimentare in una spirale senza fine i fantasmi della paura (La Rocca, 2002): qui si parla di una ragazzino in fin di vita per avere commesso un’infrazione al codice della strada, come giustamente ha sottolineato il questore di Como, Angelo Caldarola ne La Provincia di ieri. Stupisce infine che la Procura non abbia iscritto nel registro degli indagati chi permette che a Como si aggirino vigili in borghese autorizzati a ^ingaggi^ ad armi spianate, colpo in canna e senza sicura. Ma siamo certi che qualcuno avrà una spiegazione anche per questo.