Lettere dal villaggio (globale?)

Prendendo spunto da alcuni piacevoli scoperte sui blog comaschi, di cui ci è sembrato doveroso dare atto, dalla nativa val d’Aosta la nostra consigliera di Città Possibile Cesara Pavone scrive invitandomi/ci a leggere l’articolo di Marino Niola che, per l’appunto, di blog parla: “Villaggio blog, vista sul mondo le nuove forme di dialogo“. Di solito rispondo alle stimolazioni fisico/psichiche di Cesara ignorando volutamente il contenuto e rimproverandola di non metterlo in rete: Cesara probabilmente si arrabbia, ma questo fa parte del gioco e la stimola ad essere (se possibile) ancora più produttiva. Questa volta sono caduto anch’io nell’errore: le ho risposto, ma potevo tranquillamente mettere in rete il contenuto. In buona sostanza: ecco pari pari quello che ho scritto a Cesara. Vediamo se può servire quantomeno a fare due chiacchiere: ovviamente posso, come tutti, sbagliare anch’io.

da: Cesara Pavone
a Lorenzo Spallino, alberto. bracchi07, terzi. alberto, ecc. ecc.
data: 30 luglio 2008 8.14
oggetto: lettere dal villaggio …. blog
proveniente da: gmail.com

Lorenzo giura di non leggere più le mie mail se non le pubblico sul blog […]. Avendo io, nel frattempo, pubblicato un post sul blog di cp […] ho conquistato il diritto di inviarvi qs mail a cui aggiungo l’invito a leggere qs articolo che appunto di blog parla.

Ciao, alla prossima
Cesara

da: Lorenzo Spallino
a: Cesara Pavone ecc. ecc.
data: 30 luglio 2008 9.10
oggetto: Re: lettere dal villaggio ….blog
proveniente da: gmail.com

Ho letto (saltando qua e là), l’articolo. Leggo nel finale:

Per quanto diversi fra loro, i blogger nascono dal linguaggio e vivono di linguaggio. Un regime democratico, dove ciascuno è opinionista nel libero mercato delle opinioni, senza gerarchie di posizione, senza ruoli, senza il peso dell’autorità. Dove ognuno è quel che scrive, dove tutti hanno pari facoltà d’interlocuzione. È la nuova utopia della libertà e dell’eguaglianza. Compensazione simbolica al malessere attuale della democrazia in carne e ossa.

Non c’è nulla di democratico nel mondo dei blogger. Che non vuol dire, ^non sopporto i blogger^ ma solo che, salvo eccezioni, si parla soltanto tra villette monofamiliari per monoindividui che riescono a parlarsi tra villette vicine nella stessa lingua, fermi sull’uscio di casa, ma ben guardandosi dall’oltrepassare la soglia, magari con il sacchetto della spazzatura in mano. Altre lingue non sono ammesse. Chi è ^aperto^ nei blog, lo è anche nella vita reale. E viceversa. E allora perchè i blog? Per intercettare, come le antenne alzate verso il cielo di Jovanotti, i soggetti ^aperti^. Per lasciare traccia del proprio passaggio. Per divertirsi con la tecnologia. Per tante cose. Tra cui anche discutere. Ma le balle della comunicazione universale democratica lasciamole al loro posto. La democrazia è altro dal pensare di essere liberi di dire tutto quello che ci passa per la testa.

Quanto mi manca Gaber:

Si può, fare critiche dall’esterno, si può
sputtanare tutto il governo, si può
non far uso dei congiuntivi, si può
siamo liberi e trasgressivi, si può.

[Si può, di Gaber – Luporini, 1991]


Como, ex città?

Como, ex città?

Bell’articolo di Antonio Marino, su La Provincia di Sabato 26 luglio. Lo riprendiamo integralmente per chi l’avesse perso.

Como rischia di trasformarsi in una “ex città”

Ci sono di sicuro molti comaschi interessati a sapere cosa mai ne sarà esattamente del vasto spazio coperto di detriti dell’ex Ticosa, molti altri vorrebbero sapere che fine farà l’ex San Martino e sicuramente se ne troverebbero di interessati al futuro di quello che ormai – a misura che crescono le strutture del nuovo ospedale – si può chiamare ex Sant’Anna. Tutti, però, sono certamente curiosi di sapere (e magari di discutere?) il destino che si va prefigurando per Como, prima che il moltiplicarsi esponenziale degli “ex” condanni questo contesto urbano ad essere definito “ex città”. C’è stato un tempo in cui le scelte fondamentali di programmazione urbanistica rappresentavano il nocciolo dell’azione politico- amministrativa locale e venivano assunte, assai faticosamente, dopo un serrato, aspro confronto pubblico fra maggioranza e opposizione, che proponevano ognuna una propria visione generale, dalla quale dovevano discendere gli strumenti operativi in base ai quali gli interventi concreti potevano o non potevano essere effettuati. Il sistema non metteva al riparo la collettività dalla possibilità di abusi, ma questi eventuali abusi potevano, con una certa facilità, essere individuati e in qualche caso perfino repressi. Oggi le cose sono profondamente cambiate. Al punto che c’è da chiedersi se abbia ancora un senso interessarsi seriamente di urbanistica o – che è lo stesso – interrogarsi sul futuro di una città che cambia certamente, ma in quale direzione, con quali obiettivi, secondo quali modelli è quasi impossibile, e comunque certamente difficilissimo, dirlo. Che questa non sia una visione dettata da un pessimismo eccessivo o da un preconcetto negativo è facile rendersene conto. Basta una passeggiata in città: magari lungo quella via Paoli sulla quale si moltiplicano insediamenti residenziali che non è facile capire da chi – visto l’andamento delle compravendite d’immobili – saranno occupati. Alternativamente, ci si potrebbe chiedere che fine fanno, invece di essere impiegate per la realizzazione delle infrastrutture aggiuntive necessarie, le somme (ingenti) pagate a titolo di oneri d’urbanizzazione. Ma, se si volesse tagliare la testa al toro e convincersi che non sono questi i tempi giusti per occuparsi di urbanistica e del futuro della città, basterebbe riflettere sulla vicenda che riguarda il riutilizzo dell’area della Napoleona dopo che l’ospedale sarà trasferito nella nuova sede. Non affliggerò nessuno con il riassunto – necessariamente complesso, tortuoso, per molti versi sconcertante – delle puntate precedenti. Mi limiterò a chiedere – ovviamente a me stesso, visto che ci sono Palazzi ciechi e sordi alle porte dei quali è inutile bussare – se l’area in questione va valutata esclusivamente come risorsa da vendere al prezzo maggiore possibile per ottenerne un introito indispensabile al parziale finanziamento del nuovo nosocomio, oppure se essa costituisce un patrimonio della città da utilizzare al meglio, secondo un disegno coerente a quello che si ritiene sarà in futuro l’interesse collettivo. In questo secondo caso, mi piacerebbe sapere in quali sedi se ne è discusso, quando, da parte di chi, quali diverse opzioni valutando. Certo, in questa fase può apparire essenziale l’obiettivo di realizzare nei tempi previsti l’ospedale nuovo. A questo risultato possono essere sacrificate molte altre esigenze. Ma non tutte. In particolare non quella di una trasparenza assoluta del processo che decide le sorti di un pezzo importante di città sul quale grava l’ombra di troppi interessi. Tutti legittimi, forse, ma non tutti dichiarati.

Antonio Marino


We are not alone, we are not alone

We are not alone, we are not alone

Non siamo soli, non siamo soli, ci dice il nostro encontournable webmaster nell’introdurre nel nostro sito il post di Elena. Noi, dunque, spaesati cittadini persi nel labirinto, non siamo soli a ritenere che rialzando il lungolago di 50 cm il problema si sarebbe comunque risolto. Non siamo soli, a non aver paura del lago in piazza, perchè lo conosciamo e sappiamo che il lago ha, in modo meno effimero di quello viennese, reclamizzato dall’attuale mostra a Villa Olmo, ripetutamente abbracciato la città, senza mai soffocarla, solo scompigliandola un pò: un rapporto dialettico, fecondo, leggero anche nelle poche difese- qualche gradinata, qualche muro in pietra, una diga – niente a confronto delle tonnellate di cemento che occorreranno per allontanarlo, forse per sempre, dal cuore della città.Non siamo soli nel labirinto della rete, ed è un piacere venirne a conoscenza, invece di certo sono rimasti soli, nella vita reale, coloro che, questa soluzione, così come altre che stanno aggredendo la città, hanno cercato, invano, di contrastare.


Siccome poi ce ne dimentichiamo …

Diceva Sciascia che l’Italia è un paese senza memoria e senza verità. E siccome poi tendiamo a dimenticarci di alcune cose, riproponiamo per intero a futura memoria l’articolo di Famiglia Cristiana pubblicato il 1° luglio 2008, ampiamente ripreso dai media nazionali e internazionali, ma ripublicato integralmente solo su Internazionale del 4/10 luglio 2008.

SILENZIO ASSORDANTE CONTRO L’INDECENTE PROPOSTA DI MARONI. PRIMA PERO’ LE IMPRONTE DEI PARLAMENTARI E DEI FIGLI
Spetta al Governo, ha detto monsignor Marchetto di Migrantes, favorire le iniziative di istruzione che sono alimentate nei campi rom solo dalle associazioni di volontariato. Alla prima prova d’esame i ministri “cattolici” del Governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. Per loro la dignità dell’uomo vale zero. Il principio della responsabilità di proteggere (cioè, il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per la dignità di ogni uomo e donna), ampiamente illustrato da papa Benedetto XVI all’Onu, è carta straccia. Nessuno che abbia alzato il dito a contrastare Maroni e l’indecente proposta razzista di prendere le impronte digitali ai bambini rom. Avremmo dato credito al ministro se, assieme alla schedatura, avesse detto come portare i bimbi rom a scuola, togliendoli dagli spazi condivisi coi topi. Che aiuti ha previsto? Nulla. Il prefetto di Roma, Carlo Mosca, s’è rifiutato di schedare, il presidente del Veneto, Galan, ha parlato di “fantapolitica”, ma il ministro non arretra di un millimetro. Non stupisce, invece, il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini (non era più adatta Luisa Santolini, ex presidente del Forum delle famiglie?), perchè le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo. Non sappiamo cosa ne pensi Berlusconi: permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini? A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità (non ce ne siamo vergognati abbastanza). In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perchè di questo si tratta. Come quando i bambini ebrei venivano identificati con la stella gialla al braccio, in segno di pubblico ludibrio. Oggi, con le impronte digitali, uno Stato di polizia mostra il volto più feroce a piccoli rom, che pur sono cittadini italiani. Perchè non c’è la stessa ostinazione nel combattere la criminalità vera in vaste aree del Paese? Rende meno, forse, politicamente? Ma c’è di più. Stiamo assistendo al crepuscolo della giustizia e alla nascita di un diritto penale straordinario per gli stranieri poveri. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia (firmata anche dall’Italia, che tutela i minori da qualsiasi discriminazione) non conta più niente. La schedatura di un bambino rom, che non ha commesso reato, viola la dignità umana. Cosè come la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom è una forzatura del diritto: nessun Tribunale dei minori la toglierà solo per la povertà e le difficili condizioni di vita. E’ giusto reprimere, con forza, chi nei campi nomadi delinque, ma le misure di Maroni non servono a combattere l’accattonaggio (che non è reato). C’è un solo modo perchè i bambini rom non vadano a rubare: mandarli a scuola. Qui, sè, ci vorrebbe un decreto legge perchè, ogni mattina, pulmini della polizia passassero nei campi nomadi a raccoglierli. Per la sicurezza sarebbero soldi ben spesi. Quanto alle impronte, se vogliamo prenderle, cominciamo dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa “pianisti” sarebbe l’unico “lodo” gradito agli italiani.


Pa|ra|tì|a

Pa|ra|tì|a

pa|ra|tì|a
s.f.
1 edil. Elemento verticale che serve a impedire infiltrazioni d’acqua mentre si gettano fondazioni, o a rivestire sponde di corsi d’acqua contro le piene.
2 mar. Ognuno dei tramezzi che dividono in più compartimenti la parte interna sommersa di una nave || p. stagna, munita di porta stagna, per impedire il dilagare di acqua o gas nello scafo.


“L’uomo libero si pone delle domande, si interroga moralmente sul senso delle cose, il servo si chiede solo se ciò che accade gli é utile”

Hans Theodor Storm (1817-1888)


La cruna del lago

La cruna del lago

La Cruna del lago non è – o non è solo – un ristorante a San Maurizio d’Opaglio (NO), ma anche una (attiva) associazione di liberi cittadini “del Centro Lago di Como che vogliono opporsi agli atti di aggressione al territorio posti in essere da immobiliaristi senza scrupoli e da amministratori insipienti (o peggio)“. Interessante e vivace il sito, che consigliamo di visitare:

Altre associazioni di tutela del Lario:


Brezza di lago: Il lago in piazza

Brezza di lago: Il lago in piazza

Brezza di lago: Il lago in piazza

Non siamo soli, non siamo soli …

Per chi vive a Como è un richiamo peggio che le sirene di Ulisse … “Il lago è in piazza”, ieri la punta massima, ed è così che ieri sera la mia passeggiatina è stata tra Piazza Cavour e l’hangar dove c’è il Bar Pino (detto anche baretto degli Ultrà, detto anche Bar Havana). La vista del lago dal lungolago è chiusa per il cantiere che dovrebbe costruire le paratie (progetto Mose, lo chiamano) che “dovrebbero” risolvere il problema. L’esondazione di ieri era davvero minima, solo pochi negozi e bar hanno chiuso, e credo che rialzando il lungolago di 50 cm il problema si sarebbe comunque risolto (anche se il mio timore è sempre quello che, disponendo di 50 cm in più di “agio” il problema non si sposti gran che). In ogni caso è sempre uno spettacolo che attira, toglie il fiato, perchè l’acqua si appropria di una parte di città e la rende forzatamente silenziosa, piena solo delle voci delle persone, degli scatti di macchinette e di telefonini, di mamme e papà che portano i bimbi a “vedere il lago in piazza”, di persone che camminano senza meta sulle passerelle, solo per la sensazione di stare sopra, di sacchetti di sabbia pronti a riparare, di macchine che attraversano i guadi (quella nella foto è una Bentley), di autobus che “passano nei guadi” e fanno le onde fino al marciapiede che se non sei più che veloce ti fai l’ammollo e, sopratutto, di persone che si fermano a guardare il lago e a guardarsi in faccia, perchè io, a Como, non ho mai visto tanta gente sorridersi come ieri sera …

Pubblicato da Elena alle 7.39
Tags: como, Lago di Como
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Post: http://brezzadilago.blogspot.com/2008/07/il-lago-in-piazza.html
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Musei vs. mostre

Musei vs. mostre

Per chi volesse uscire dai confini della realtà comasca ed affrontare con cognizione di causa il dibattito sulle così dette ^grandi mostre^, vale certamente la pena segnalare l’intervento di Daniele Jalla, presidente della sezione italiana di ICOM (International Council of Museums), pubblicato a tutta pagina sulle colonne della Domenica del Sole 24 Ore (6 luglio 2008, pagina 43). Ripreso da più organi di stampa, l’articolo illustra il recente documento di ICOM “Mostre-spettacolo e Musei: i pericoli di una monocultura e il rischio di cancellare le diversità culturali “.

Link:

Stampa nazionale e internazionale sul documento ICOM:


Expo 2015: consiglio comunale aperto

Expo 2015: consiglio comunale aperto

Giovedì 3 luglio 2008: si tiene il consiglio comunale aperto al teatro Sociale di Como dedicato all’Expo 2015. Inizio alle 19:30 con mezz’ora di ritardo. Lunghe prolusioni introduttive. Segue il video di presentazione della candidatura milanese, in inglese con sottotitoli in francese (…), peraltro scaricabile sul sito ufficiale. Circa 200 persone presenti. A sorpresa mi raggiunge mia figlia, dodicenne, animata dalle migliori intenzioni. Alle 21:00, esausti (siamo ancora ai consiglieri regionali), andiamo a mangiare. Chiaro che mia figlia non parteciperà più a un’assemblea pubblica. Alle 21.30 rientro. Alle 22:15 abbandono: mancano ancora 12 consiglieri comunali. La sala è svuotata per metà, molti politici, pochi cittadini. Ma a parte ascoltare, la gente quando doveva parlare? Curiosa, poi, l’impostazione degli oratori: quando nei primi interventi si parlava di Como all’interno dell’Expo, tutti a dire quanto il sistema comasco sia straordinario, i posti bellissimi, i comaschi operosi, l’economia sana, le strutture di eccellenza. Quando si è passato a parlare di proposte, tutti a dire quanto il sistema sia deficitario, quanto la burocrazia uccida le imprese, quanto ci sia bisogno di opere strutturali, quanto il lago sia malato, quanto l’economia abbia bisogno di una boccata d’ossigeno, quanto la gente non risieda più sul lago per quanto è diventato costoso … Ma parlavano degli stessi posti? Il giorno dopo leggo La Provincia: merito suo o colpa degli altri, l’unico intervento riportato con ampiezza è quello del senatore Alessio Butti, che realisticamente invita a concentrarsi su pochi progetti strutturali (metrotranvia, depurazione del lago). Vado sul sito del Comune di Como per vedere se nella sezione dedicata c’è il resoconto della serata o notizie sulla ^cabina di regia^ di cui parla il giornale. Nulla. Mi si chiede invece di partecipare a un sondaggio:

EXPO 2015 COMO CAMBIA LA CITTA’
Esprimi la tua priorita’

INFRASTRUTTURE
EVENTI
TURISMO

Tutto qui quello che la macchina da guerra della comunicazione comunale è riuscita a partorire? Forse ha ragione il senatore Butti, quando dice che il problema non è il gioco di squadra ma “le idee e i progetti”.