C’é un Sax nel Parco Valle del Cosia

C’é un Sax nel Parco Valle del Cosia


Beppe Reynaud ci comunica che:

l gruppo dei volontari di Ponzate,

dopo l’intervento di ripristino della conduttura che ha riportato l’acqua della sorgente alla fontana, ( ed in futuro al lavatoio) si é dedicato al sassone
è stato ripulito, e poi ricostruito il sentiero di accesso rimasto sepolto da detriti e rifiuti

dobbiamo inserire nelle mappe del pvc la posizione
l sassone è un grosso masso erratico caro ai ponzatesi, prima in mezzo ad un prato era meta di gite e giochi, poi si è completamente imboscato

io ci andavo con mio nonno a prendere il sole

mentre il signor Ermanno Trombetta, autore della foto del Sax, ci spiega come trovarlo:

Il sentiero è percorribile da Chiassino partendo dalla Chiesetta,
alla biforcazione dopo circa 1 Km. seguendo il sentiero a sinistra si arriva
al torrente proprio all’altezza del sassone.
attraversato il torrente salire verso il rudere della chiesetta del cimitero.
purtroppo la zona è una discarica a cielo aperto ….
Attilio e compagnia cercheranno di sistemare…
(già segnalata al Comune -Sindaco- e alla Provincia
affinché pongano qualche cartello o una rete di protezione).

E’ proprio magnifico, uno splendido masso erratico che arrichisce ancor più il Parco valle del Cosia!


Sulla via di Damasco 2: la vendetta.

Sulla via di Damasco 2: la vendetta.

Sulla lunga strada che conduce ad Agenda 21 avevamo un tempo insignito l’assessore D’Alessandro del premio ^Sulla via di Damasco^. Oggi, letto il Corrierino, dobbiamo insignire dello stesso premio il Sindaco Stefano Bruni che dichiara oggi a proposito del prospettato concorso di idee per l’area a lago dove sorge lo stadio:

Prima di prefigurare scenari che modifichino radicalmente la città […] è necessario un confronto politico in giunta, in maggioranza e in consiglio comunale.

Sant’anna docet …


Siccome sono democratico, comando io!

Trascriviamo il resoconto del consiglio comunale di Como del 21 aprile 2009, come reso da Ecoinformazioni. Evidenziamo il passo relativo al Parco della Valle del Cosia, permettendoci di sottolineare le squisite doti di savoir fare dei rappresentanti istituzionali del Comune di Como.

MARTEDÌ 21 APRILE 2009 ORE 19.28
22540 (POLITICA/ CONSIGLIO COMUNALE/ COMO) Nella seduta del 21 aprile Bocciati quasi tutti gli emendamenti proposti dalle opposizioni, passa solamente una dichiarazione di principio sulla vita indipendente per i disabili. Gli extracomunitari continueranno a non poter fare “assembramenti” nei parchi cittadini.
[…]

Non è stata approvato nemmeno il Parco locale di interesse sovracomunale del Cosia. Mario Lucini, Pd, ha proposto per la seconda volta la proposta di attivare le procedure per istituirlo, così come stanno già facendo i Comuni di Tevernerio, di Albese con Cassano e di Albavilla. Lapidaria la risposta del sindaco «Il parere è contrario rimandando alle motivazioni dell’anno scorso». Un’affermazione che ha fatto sbottare al proponente «mi aspetteri un briciolo di rispetto in più» causando la replica del sindaco «la riproponi ogni anno!».

[Michele Donegana, ecoinformazioni]

Insomma, Siccome sono democratico, comando io. (Antonio De Curtis, ^Totò^, in La Cambiale)


La nostra infinita emergenza: Barbara Spinelli su La Stampa

Faccio una cosa che in genere non faccio mai: copio e incollo dal sito de La Stampa un articolo di Barbara Spinelli sull’emergenza, segnalatomi da Cesara Pavone, per il timore che possa andare perso.

19/4/2009
La nostra infinita emergenza
di Barbara Spinelli
fonte: http://www.lastampa.it/
link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=40

Sono ormai anni che viviamo nell’emergenza, e quasi non ci accorgiamo che ogni mossa, ogni parola detta in pubblico, ogni sopracciglio intempestivamente inarcato, son sottoposti a speciali esami di idoneità, che mescolano etica e estetica, dover essere e presunto buon gusto. La mossa, la parola, il sopracciglio, devono adeguarsi all’ora del disastro: sia esso attentato terroristico o ciclone, tsunami o terremoto. Chi rompe le righe si copre di colpe, prestamente censurate. Vergogna e indecenza sono il marchio impresso sulla fronte di chi non ha tenuto conto del perentorio buon gusto. L’emergenza è diventata una seconda pelle delle democrazie, e per questo non ci accorgiamo quasi più dell’anormale convertito in normale: delle libertà che per l’occasione vengono sospese, dell’autonomia di giudizio che vien tramutata in lusso fuori luogo.

È un po’ come il corno che cresce d’improvviso sulla fronte di tutti i concittadini di Bérenger, protagonista dei Rinoceronti di Ionesco: arriva il momento in cui la protuberanza è talmente familiare ed estesa che chi non la possiede si sente un reietto, e lo è. Anche durante il terremoto in Abruzzo è stato così, e questo spiega lo scandalo assolutamente abnorme generato da una trasmissione televisiva – Anno Zero di Santoro – che era un po’ diversa dalle altre perché fondata sulla denuncia polemica: dell’organizzazione dei soccorsi, e soprattutto della secolare commistione fra affari, corruzione, malavita, edilizia.

Indecente è stata definita la trasmissione, perché questa non era ora di far scandalo: di «seminare zizzania con i morti ancora sotto le macerie, di descrivere l’Italia come il solito Paese di furbi, incapaci di rispettare ogni legge scritta e morale», ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera, l’11 aprile. Lo spazio smodato dato su giornali e telegiornali all’evento è esemplare, perché conferma una malattia democratica diffusa. Incapaci di dominare eventi più grandi di loro, le democrazie vivono sempre più di emergenze, ne hanno bisogno esistenziale. A partire dall’ora in cui è pronunciata la frase fatale: «Questo non è il momento», già è stato di eccezione. In tempi normali è proprio questa l’ora delle controversie. Se non nel mezzo del disastro, quando farne l’archeologia e denunciare?

Non così in stato d’eccezione, quando è il regnante a decretare natura e vincoli del momento. La sua sovranità è essenzialmente sulla vita e la morte, e il momento è dunque quello delle bare allineate, del supremo dolore, del lutto vissuto nell’unanime afflizione. Grazie a questo momento si crea un’unità magica, propizia all’intensificazione massima della sovranità. Viene mobilitato anche l’Ecclesiaste: «C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire». La Bibbia per la verità parla all’anima, ma nell’emergenza anima e politica si fondono. Assieme, esse giustificano lo stato d’eccezione che sempre esordisce con la soppressione, non si sa se davvero provvisoria, di libertà e abitudini alla critica vigenti in epoche di pace. Giorgio Agamben, che ha studiato tale materia, racconta come morte e lutto siano ingredienti dello stato d’eccezione sin da Roma antica: l’emergenza si chiamava iustitium, e in quei giorni veniva abolito il divieto di mettere a morte un cittadino senza ricorso a un giudizio popolare (Agamben, Lo Stato di eccezione, Torino 2003).

Stato d’eccezione o emergenza sono in realtà imbellimenti di quel che effettivamente accade, camuffano lo stato di guerra: per l’Oxford English Dictionary, sono suoi sinonimi, eufemismi. È in guerra che i comportamenti liberi, biasimatori, son ribattezzati disfattisti. Nell’emergenza guerra, disastro e morte richiedono un dover-essere e un dover-dire. È a questo punto che lo stato di eccezione si tramuta in regola, e il sistema giuridico politico in «macchina di morte». La morte fa tacere il popolo e al tempo stesso nutre il sovrano. È il grande correttore, regolatore: non dici cose scomposte davanti a una salma, anche se veritiere. Il potere usa la morte: diviene necrofago. L’uomo colpito da catastrofe è ridotto a vita nuda e quest’ultima sovrasta la vita buona, prerogativa di chi tramite la politica e la libera opinione esce dalla minorità. La nudità politica, scrive Hannah Arendt nelle Origini del Totalitarismo, può esistere anche senza diritti civili.

Il fenomeno non è nuovo, Agamben lo spiega molto bene. I giorni dello iustitium sono anche i giorni in cui si celebra il lutto del sovrano. Leggi e libertà non sono abolite ma sospese, perché l’essenza del potere (potere di vita e di morte) non appaia vuoto. Da allora ogni disastro, naturale o terrorista, è occasione di affermare tale essenza. Di mettere in scena non il morire o il multiforme soffrire dei cittadini, ma la possibile morte del sovrano e della stessa politica. L’unità si fa non attorno alle salme ma al sovrano, il quale dice: «Sono io in causa, e la vera posta in gioco è la dilazione della mia messa a morte, l’anticipazione rituale del lutto della mia persona».

Nella storia della democrazia c’è anche questo: l’eccezione che cessa d’esser tale, facendosi regola. Che non proclama più giorni di lutto, ma epoche. Tutto è guerra, in permanenza si tratta di riconfermare il sovrano unendo il mio col suo, la solidarietà emotiva di cui ho bisogno io e quella di cui necessita lui. L’idea che tale sia la guerra moderna nasce nel ’14-’18, ed è teorizzata da uno dei suoi protagonisti, Erich Ludendorff, nella Guerra Totale scritta nel 1935. Nella guerra democratica totale scompare la distinzione tra fronte e retrovia, militari e civili (Heimatfront è la fusione hitleriana – animista, dice Ludendorff – tra fronte e patria). Il governo delle emozioni permette di metter fra parentesi libertà e norme, e in questo ha le stesse funzioni della violenza fuori-legge. Il giornalista che aderisce agli imperativi di tale emergenza distrugge il proprio mestiere.

Nei disastri c’è chi soffre, chi governa, chi racconta (messaggero nella tragedia antica, giornalista oggi) e chi indaga rammentando. Ogni ambito ha un suo dover-essere, una sua autonomia. Se la priorità per il messaggero sono i sofferenti, si racconterà tutto quel che essi provano: gratitudine ma anche rabbia, sollievo per i soccorsi e ira suscitata da uno Stato complice di speculazioni edilizie. Chi ha letto Gomorra, ricorderà quel che Saviano scrive nel capitolo sul cemento armato, «petrolio del Sud», a pagina 235-236: «Tutto nasce dal cemento. Non esiste impero economico nel Mezzogiorno che non veda il passaggio nelle costruzioni: appalti, cave, cemento, inerti, mattoni, impalcature, operai… L’imprenditore italiano che non ha i piedi del suo impero nel cemento non ha speranza alcuna. È il mestiere più semplice per far soldi nel più breve tempo possibile.… Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezza Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi e ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia… Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova».

L’emergenza, come la guerra, ha sue leggi speciali. Non sono le leggi della dittatura, perché la dittatura crea nuove leggi. Lo stato d’eccezione permanente è più insidioso: non instaura regolamenti nuovi, ma sospende leggi e libertà creando vuoto legale, anomia. L’Ecclesiaste a questo punto non è parola di Dio, ma decreto del sovrano che assieme al giornalista-messaggero invoca unanimismo. Il giornalista nega se stesso, quando consente a mettere sullo stesso piano gli abusi dell’edilizia e gli «abusi di libertà» di chi punta il dito su tali abusi: invece di vigilare, giustifica – per sé e i concittadini – lo stato d’eccezione.


Como: verde urbano

Vieni, c’è una strada nel bosco…..
… che ti porta dritto dritto … ad una bella discarica!


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Le foto sono qui

La domanda é:
é una nuova discarica autorizzata ?
purtroppo non c’é nessun cartello che lo lasci supporre ma di certo é bella comoda, non recintata, praticamente aperta 24h su 24! Così se si é fuori orario per la piattaforma ecologica che accidenti di domenica è chiusa…….