Una Como presbite tra alimbicchi e tralicci
Scrive un lettore della Provincia al direttore: “Mille firme per il cedro. Una dozzina i sottoscrittori al comitato per la solidarietà a Rumesh. Ma che razza di città è mai questa?”. Già, che razza di città è? Il cedro, malato o sano che sia, appartiene all’iconografia di questa città: come la resta, la messa in Duomo il giorno di Natale, il Tasell, le suore dell’Ospedale Valduce. Rumesh no. Nell’immaginario comasco Rumesh appartiene a un mondo fatto di persone diverse, che parlano una lingua che non è la nostra, un mondo di titoli a piena pagina su pistole, inseguimenti e pattuglie anti-writers. Un mondo ben poco rassicurante, che come tutti i mondi “altri” esige un approccio non usuale, pena l’indecifrabilità. Ovvio che i comaschi, verdi o meno, si mobilitino per il cedro mentre il comitato per Rumesh stenta a decollare, pur proponendosi di raccogliere una somma ridicola rispetto ai costi che questa città si prepara a sopportare per la Notte Bianca. Tutta qui, la spiegazione? Tutta qui, Como? Difficile dirlo: quello che è certo è che la risposta, se è questa, non soddisfa. C’è, in realtà, una Como presbite, che non legge o non legge più, per gesto o abitudine, la quotidiana aggressione alla delicata imperfezione del paesaggio urbano, carattere durevole della città europea. Una Como indifferente alle somma delle piccole mutilazioni che le vengono di volta in volta imposte in successione solo apparentemente casuale, ogni volta limando la soglia dell’attenzione dei cittadini al bello e, per l’effetto, la pienezza della cittadinanza di cui vanno così fieri. C’è una città che vede il cedro, e c’è una città che non vede i tralicci delle Ferrovie Nord, insolentemente piazzati sul cannocchiale tra la Casa del Fascio e l’abside del Duomo. C’è una città che combatte per l’ippocastano, e c’è una città che nulla dice sul fatto che da due anni l’intorno del Monumento ai Caduti si presenta agli occhi dei visitatori come la più disastrata area di cantiere e non come il contorno di un monumento famoso in tutto il mondo, priva com’è dei cipressi che Terragni voleva segnassero fisicamente un’area dedicata al raccoglimento. Per migliaia di anni si sono realizzati monumenti all’ingresso delle città in modo che il visitatore fosse simbolicamente introdotto alla cifra della comunità: oggi chi arriva a Como dall’autostrada riceve il benvenuto da un enorme alambicco. A ricordare i fasti della Como birraiola? Tutto questo sarà legittimo, ma c’è da chiedersi se sia anche opportuno. L’estetica di questa città sta cambiando: chi è preposto alla sua forma evidentemente non se ne preoccupa, ed anzi incoraggia questi mutamenti. L’importante è che siano a “costo zero” e che in cambio, magari, si tenga l’erba bassa e si sostituisca qualche fiore. Erba bassa e fiori: la perfezione di fronte a Villa Olmo in occasione della mostra di Magritte, la vergogna delle aree verdi in periferia per 365 giorni l’anno. Mille firme per il cedro, poco o niente per Rumesh. Insistere nel negare, nei fatti, che anche un ragazzo cingalese faccia parte di questa città, prefigura per Como quello che Calvino scrisse per Maurilia, dove le cartoline della vecchia città non rappresentavano Maurilia com’era, ma un’altra città, che solo per caso si chiamava come questa.
Lorenzo Spallino
Pubblicato su La Provincia, edizione di Como, del 2 giugno 2006
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